martedì 12 agosto 2008

Approfondimenti - Il Pensiero Di Pasolini

PASOLINI E LA SOCIETA'

Pasolini alla Tomba di Gramsci (www.pasolini.net)

Gli anni della speranza (1942-1962)

Cominciò a pensare attivamente alla società, al suo possibile miglioramento, dall'età di vent'anni. Nei primi anni della seconda guerra mondiale, studente di lettere, sognò una evoluzione morale e sociale dell'Europa sotto l'impulso educativo dei letterati, soprattutto italiani della sua generazione. Allora non si ribellò esplicitamente al fascismo, ma pubblicò su riviste parlando della sua avversione alla propaganda culturale fascista, che pretendeva che tutti - quindi anche i letterati - benedicessero pubblicamente la guerra in corso.

Non voleva agire da uomo di cultura organico al regime. Era consapevole della necessità della solitudine del singolo letterato, che attraverso un faticoso percorso di autoconoscenza, potesse elevare sé e di conseguenza l'intera società, non solo italiana, ma addirittura europea. Non un solo letterato, si intende, ma un certo numero di individui sensibili, coscienti e responsabili, e soprattutto entusiasti.

Tra il '46 e il '47, ormai finita la guerra, si batté per l'autonomia del Friuli, soprattutto a motivo della lingua, aspirando a una promozione del friulano da vernacolo a lingua. Ovviamente non gli passò mai per la mente l'idea separatista, anzi voleva che il Friuli diventasse regione autonoma perché raggiungesse una maggiore consapevolezza dei suoi valori e tradizioni, non solo per sé ma anche in vista di un contributo a un eventuale futuro federalismo europeo. Quindi egli era per il decentramento nazionale e l'accentramento supernazionale (l'Europa unita).

Nonostante i comunisti lo attaccassero, non condividendo la tesi autonomista per il Friuli (giacché temevano una sua chiusura con conseguente vittoria della borghesia locale reazionaria e clericale), nel '47 si iscriveva al partito, per una lotta più efficace a difesa delle classi povere e perché convinto che solo il comunismo potesse fornire in quel momento storico una nuova cultura "vera".

Mi pare doveroso chiarire meglio che Pasolini era, grazie alla sua personalità liberissima, al di sopra di ogni ideologia, quindi anche di quella comunista, e che il suo preferire questa ad altre e, molti anni più tardi, la simpatia per i radicali (pur continuando a dichiararsi marxista sia pure non ortodosso), nascevano dalla comprensione di quale fosse la strada migliore a livello politico (e non solo politico) da intraprendere giorno dopo giorno, senza il timore della contraddizione, perché la Realtà è mutabile e irriducibile a qualsivoglia ideologia. Costante rimase sempre l'amore disinteressato per la vita.

In alcuni articoli del '47 e '48, quando insegna alla scuola media di Valvasone, ha modo di occuparsi anche di pedagogia e didattica: capisce che i bambini non sono, come erroneamente si ritiene, dei puri di cuore, anzi sono moralmente molto inquieti: quindi l'insegnante non è al loro cuore vulnerabile che deve rivolgersi, bensì alla curiosità, attivandola e dirigendola verso i fini dell'apprendimento. Sarà inutile qualunque predica morale, perché i ragazzi la accoglierebbero solo superficialmente e ipocritamente: vale più il tacito esempio, il coinvolgimento anche di tipo morale ma in forma implicita. La repressione degli istinti è dannosa: il bambino o il ragazzo deve scoprire in sé quale è la sua vocazione più autentica e farla diventare una passione fine a se stessa. Non sono le cose semplici che incuriosiscono il discente ma, al contrario, le difficoltà che affinano in lui il senso critico e determinano la caduta degli idoli, che altrimenti lo renderebbero un adulto conformista e represso.

Ritiene assurda l'obbligatorietà dell'insegnamento della religione nelle scuole, perché la religione è conquista anche sofferta del singolo, non un acquisto aprioristico e quasi imposto.

Una grande funzione morale ed estetica può avere la poesia insegnata a scuola, purché sia veramente e storicamente compresa, ed inoltre stimoli la coscienza linguistica del ragazzo. In una poesia il poeta esprime i suoi sentimenti, quindi chi la legge deve capire il meccanismo formale che conduce dalla introspezione alla espressione. Inoltre ogni approfondimento sentimentale porterà a uno linguistico, e viceversa, così il ragazzo potrà discostarsi dalle abitudini e dagli istinti e accorgersi meglio di sé e del suo ambiente.

Negli anni successivi, ormai a Roma con la madre, diviene famoso come scrittore, poeta e sceneggiatore. Così assume un ruolo guida, ancor giovanissimo, tra gli intellettuali impegnati della capitale.

Ha un fiuto incredibile delle novità sociali, pur non avendo fatto grandi letture sociologiche, quindi si accorge presto della mutazione in seno al capitalismo italiano, che diviene al tempo stesso più illuminato ma anche più duro da combattere, perché tende ad attrarre a sé strati di proletari progrediti e della borghesia progressista. Eppure il divario tra ricchi e poveri del mondo aumenta, e in Italia il Nord è industriale e ricco mentre il Sud agrario e depresso economicamente.

Il neocapitalismo si serve della televisione per intontire le menti dei più poveri, allettandoli con programmi stupidi; infatti i sottoproletari non hanno la cultura per poter seguire programmi istruttivi, i quali elevano il grado di conoscenza solo degli strati medio-alti, che per il fatto di essere classe dominante, della cultura hanno l'idea di passatempo estetico o erudito.

Sin dal '59, Pasolini invita il partito comunista a rinnovare i metodi di lotta anti-borghese, divenendo sempre più il "partito dei poveri". Sprona gli intellettuali ad essere liberi, come scrittori, da ogni pressione politica, anche di sinistra.

Nello stesso anno si occupa del fenomeno dei "teddy boys" cioè i giovani teppisti che imperversano nelle città del Nord e provengono dagli strati della borghesia. Li considera dei ribelli anarchici che contestano malamente il potere reazionario e conformista dei loro genitori, malamente perché spesso se la prendono con omosessuali e prostitute, rivelando così l'inconscia matrice moralistica della loro ribellione. Al Sud invece i ragazzi che delinquono - almeno in quegli anni - lo fanno a causa della estrema povertà, in cui i borghesi agrari e i professionisti loro alleati mantengono una larga fetta della popolazione.

Per combattere la criminalità non bisogna seguire la strada della repressione punitiva ma quella delle riforme sociali ed economiche, perché a causare la criminalità è la società stessa.

Al poeta sfugge di usare il termine "banditi" riferendosi a un paese della Calabria (Cutro), e scattano polemiche e una denuncia per diffamazione a mezzo stampa. Ma lui sa difendersi in modo esemplare, affermando che ha usato quel termine in senso etimologico, perché effettivamente i poveri sono bandìti (cioè emarginati) dalla classe dominante che li sfrutta e li costringe indirettamente al crimine. Nel '60 la nuova amministrazione comunale di Cutro ritira la denuncia.

Qualcosa sta cambiando nel Paese, ma esso resta sostanzialmente legato alla morale repressiva: le donne non parlano esplicitamente di sesso ma solo di amore, matrimonio e fidanzamento. Pasolini scrive sul giornale «Vie Nuove», rispondendo a un lettore nella rubrica «Dialoghi con Pasolini»:

"Nel campo sessuale le caratteristiche «sentimentali» dell'uomo e della donna sono diverse. In parole molto semplici: il maschio è caratterizzato dalla ricerca, la femmina dall'attesa. E' difficile immaginare una ragazza che, montata in lambretta, vada in cerca di maschi, come è difficile immaginare un giovanotto che passi la domenica seduto sul muretto del ponticello ad aspettare che delle femmine lo cerchino."

Chiunque oggi comprende come la situazione sia poi decisamente mutata da come è descritta qui sopra. E se ne sarebbe accorto lo stesso Autore qualche anno più tardi.

Invita i marxisti a non sottovalutare il problema della irrazionalità, che essi identificano erroneamente con l'irrazionalità storica del decadentismo. Il realismo lo porta invece a capire che l'irrazionale è una componente ineliminabile dell'essere umano, e che tale componente si storicizza in modo diverso a seconda della società in cui si vive. Occorre una opera di trasformazione delle contraddizioni e delle passioni da maledette in benedette, attraverso una analisi razionale dell'irrazionale (se mi è consentito il gioco di parole). Solo ciò che resta oscuro e viene rimosso o represso, è maledetto.

Dice ancora ai suoi compagni marxisti: noi abbiamo l'arma della ragione da opporre all'irragionevole violenza e menzogna degli avversari, che sono tanto deboli sia criticamente che razionalmente, quanto forti poliziescamente. Non poteva ancora prevedere che la classe dominante avrebbe usato l'arma peggiore (l'edonismo consumistico) per attrarre a sé l'intera umanità.

Denuncia la malafede e la faziosità dei giornalisti borghesi, che non servono la verità ma solleticano i peggiori istinti di massa, descrivendo un evento o un personaggio di successo, con sadico cinismo. Se guardiamo infatti un cinegiornale del tempo o sfogliamo un rotocalco di quegli anni '60 ancora legati, sia pure ipocritamente, ai valori di Patria, Chiesa, Famiglia, ci accorgiamo che un uomo mite e schivo come Pasolini viene dipinto invece come un vizioso dedito alla vita mondana. Non pare assurdo ipotizzare che la sua morte fosse in qualche modo necessaria per dare un senso autentico a quella esistenza continuamente perseguitata dal Potere e dalla Società, per farlo conoscere nella sua verità a noi lettori a lui grati. Sbaglia forse chi piange eccessivamente sulla sua fine prematura (anche se comprendiamo le ragioni affettive di un lutto sentito) perché se Pasolini non fosse morto in quel modo atroce, sarebbe stato forse ancora frainteso.

Il 1961 lo vede protestare pubblicamente contro la censura di Stato. Gli sembra una illecita intromissione quella dei cardinali che scrivono una lettera agli organi dello Stato affinché questi censurino certa cinematografia che al Vaticano non aggrada. La religione ufficiale non è che conformistica ritualità: per la società che sta scoprendo il benessere, il Natale è il panettone, la Pasqua la colomba: non la nascita, non la passione di Cristo. Uno spirito religioso autentico cercherà una nuova luce altrove, nella lotta per un mondo dal volto finalmente umano. La Chiesa e lo Stato fanno opera di repressione (usando armi spesso subdole), quando invece dovrebbero farne una di educazione, attraverso persuasione e collaborazione in spirito democratico.

Anche la sua scelta comunista ha una origine etica ed evangelica: perché mai un borghese dovrebbe tradire la sua classe, se non per un profondo sentimento populista? E Salinari lo accusa proprio di "populismo", inteso però nel senso peggiore, come contrapposizione del popolo contadino alle aristocrazie operaie impegnate nella lotta di classe. Niente di più sbagliato, gli risponde il nostro: il suo populismo va inteso invece come quello di un marxista che ama il popolo di un amore preesistente al marxismo stesso, e in parte al di fuori di esso (di qui la sua simpatia anche verso il partito socialista e più tardi quello radicale).

In un momento in cui il neocapitalismo tende a comprare la classe operaia attraverso le tentazioni di una vita quasi borghese, il sottoproletariato meridionale potrebbe - suggerisce Pasolini al partito comunista - rappresentare una massa vergine e matura per una lotta di classe anche nel rassegnato Meridione, una lotta da affiancare e non contrapporre a quella operaia.

E' sempre stato antistaliniano, anche quando Stalin non era messo in discussione se non da pochi spiriti critici. Non gli perdona le repressioni, le ingiustizie, i campi di concentramento.

Lo spirito critico (e quindi libero) è il solo che dà a un uomo la possibilità di sfuggire alla perdita degli ideali e all'asservimento alle istituzioni, scegliendo la via, al contrario, di "una esercitazione puntigliosa e implacabile dell'intelligenza".

Riprendendo, sempre nel '61, l'argomento "sessualità", dice che non è lo sfogo dei sensi a rappresentare un pericolo: il sesso fine a se stesso non è una cosa sporca (anche se, come in tutti gli appetiti naturali, occorre misura e forza di volontà, per non fare del male a se stessi e soprattutto agli altri).

Parlando del fratello Guido, dice che la sua morte eroica e complessa (fu ucciso infatti da comunisti filoslavi, e non dai nazisti) è la molla che lo obbliga a seguire la strada di un impegno assoluto, senza alcun cedimento o compromesso o viltà.

Se ci pensiamo è proprio così: noi abbiamo bisogno di esempi del passato, per essere del tutto liberi e indipendenti nel presente. Per questo Socrate non fuggì da Atene e bevve la cicuta, Cristo metaforicamente il suo calice amaro e in modo analogo tutti i loro simili. Più spesso non bastano questi esempi di "grandi martìri", occorrono anche "piccoli martìri" che ci tocchino nel profondo degli affetti.

Nel 1962, prendendo spunto da un fatto di cronaca nera della capitale, Pasolini scrive e pubblica che se un giovane borghese, per difendere la proprietà della sua famiglia, uccide a pistolettate un altro giovane, ladruncolo sottoproletario, il primo uccide per una ideologia razzista che gli impedisce di comprendere l'altro mondo, quello dei sottoproletari che rubano sostanzialmente per fame.

Stampa e avversari di ogni tipo continuano a perseguitarlo, e lui scrive innocentemente che per difendersi ha due forze "potenti": buonafede e innocenza.

Molti bussano alla sua porta per chiedergli aiuto materiale, e come può li ascolta e li aiuta, ma tanti gli chiedono anche di scrivere su innumerevoli casi italiani di gravità sociale. A questi risponde:

"Ma come faccio? Tutti voi dovreste capire che descrivendo un «caso» italiano di miseria, di ingiustizia, intendo in esso simboleggiare, sintetizzare, tutti gli altri casi analoghi. Che, lo so, sono infiniti, nella nuova Italia del benessere che si avvia, con penosa baldanza, sulla strada della socialdemocrazia (se tutto va bene!)."

Come si intuisce da queste parole, la speranza comincia ad incrinarsi.

A chi gli contesta l'ispirazione cristiana, affermando che il cristianesimo ha fatto "sempre" gli interessi dei potenti, predicando la rassegnazione, lui distingue tra la rassegnazione del cristianesimo delle origini, arma potentissima di mitezza e non-violenza che ha rovesciato un impero basato su una economia schiavistica, e la rassegnazione vaticana contemporanea, mostro di passività, ignoranza e reazione, l'esatto contrario della mitezza predicata e incarnata da Cristo. "Basta leggere i feroci, battaglieri, faziosi articoli dell'«Osservatore Romano» per convincersene."

Vede un nuovo fascismo serpeggiare nella società italiana, addirittura come codificazione del fondo brutalmente egoista di questa, per cui la cattiveria diventa normalità।

PASOLINI E LA SOCIETA'

Pasolini nel 1975 (www.pasolini.net)

Delusione e "disperata vitalità" (1963-1975)

Ho dovuto decidere su quale anno fosse da porre come inizio della disperazione pasoliniana. La scelta è caduta sul 1963, a motivo di queste drammatiche espressioni:

"Facciano scoppiare le atomiche o giungano alla completa industrializzazione del mondo, il risultato sarà lo stesso: una guerra in cui l'uomo sarà sconfitto e forse perduto per sempre."(1)

"Si produrrà e si consumerà, ecco. E il mondo sarà esattamente come oggi la Televisione - questa degenerazione dei sensi umani - ce lo descrive, con stupenda, atroce ispirazione profetica."(2)

Quanto sia oggettiva questa previsione senza luce di speranza e quanto invece derivi dalle ragioni poetiche particolari di lui, non posso, almeno per ora, nemmeno chiarirlo a me stesso. Quel "forse" di cui alla citazione n. 1, lascia intendere che una pur difficile via di salvezza è ancora possibile, purché si abbia il coraggio di mettersi in crisi e accettare umilmente il dolore (composto a volte di solitudine ed emarginazione) in vista della propria crescita umana e culturale.

Il 1964 è un anno speciale per il nostro, che a motivo del suo film sul Vangelo di Matteo, auspica, attraverso dibattiti in giro per l'Italia e il dialogo con i lettori della rivista «Vie Nuove», la necessità di un incontro democratico tra cattolici non clericali e marxisti non dogmatici. Figura di riferimento è naturalmente Papa Giovanni, che grazie alla sua cultura ha saputo avere uno sguardo non autoritario sul mondo e sugli uomini, che non vanno perciò distinti in assolutamente buoni o assolutamente cattivi.

Il marxismo, peraltro, può superare la necessità filosofica dell'ateismo, necessità che nasceva dal positivismo, ma che ora non ha più motivo d'essere perché la scienza ha superato lo stesso positivismo. Il marxismo non deve essere cristallizzato in un sistema fisso e dogmatico. Se così fosse, sarebbe la copia atea del dogmatismo clericale.

Tuttavia Pasolini è pessimista riguardo al futuro, perché ritiene che i dirigenti comunisti non si sono accorti in tempo della svolta neocapitalistica della borghesia, che tende a borghesizzare e disumanizzare il mondo, rendendo gli uomini degli automi. Gramscianamente parlando, i neocapitalisti non sono classe dominante, ma qualcosa di peggio, cioè classe egemone, perché si pongono come centro culturale con la nuova lingua tecnocratica che uccide l'espressività in nome di una spietata strumentalità. Ce ne accorgiamo benissimo: tutto è merce, gli stessi individui sono merce da sfruttare. Questa disperazione però lascia spazio alla speranza che prima o poi, fosse anche nel corso di secoli, gli uomini ritrovino la loro libertà autentica che è nell'espressività, cioè nei sentimenti veri, non indotti dalla cultura di massa.

Per questo vede - alla metà degli anni '60 - l'alleanza tra cattolici progressisti e marxisti non dogmatici, come uno dei mezzi possibili per lottare contro il materialismo (in senso volgare) ateo, cinico e disumanizzante alla base del neocapitalismo, sintesi di tutto ciò che è condannato dal Vangelo.

Insistendo sul tema della crisi del marxismo, suscita le ire di suoi avversari intellettuali o semplici lettori, che lo accusano di essere un letterato decadente che non conosce nemmeno i primi elementi del marxismo. I toni usati da quegli avversari sono aspri e denigratori, l'ennesimo capitolo di una persecuzione, che è poi quella che lo ferisce di più giacché proviene da persone di sinistra.

A una ragazza che gli scrive su «Vie Nuove» di voler studiare all'università ma non avere i soldi per farlo, risponde:

"Puoi leggere, leggere, leggere, che è la cosa più bella che si possa fare in gioventù: e piano piano ti sentirai arricchire dentro, sentirai formarsi dentro di te quell'esperienza speciale che è la cultura."(3)

Nel '66 prepara con Moravia una nuova serie della rivista «Nuovi Argomenti», finalizzata a chiarire la crisi del marxismo e prospettare le possibili soluzioni ad essa, cercando pure di rifondare la cultura marxista.

In una intervista di Oriana Fallaci, durante una visita a New York, dice che ha ancora delle speranze, ma che queste gli vengono ora non dall'Europa, bensì dagli Stati Uniti, dove si è accorto che gli uomini sono idealisti pur nel loro pragmatismo; inoltre la Nuova Sinistra americana, gli studenti politicamente impegnati per l'emancipazione dei neri, promettono bene: a suo parere, essi non sono né comunisti né anticomunisti, ma mistici della democrazia, vogliono portarla cioè sino alle estreme conseguenze.

Cominciando ad occuparsi del fenomeno "televisione", comprende che vengono accettati nel circuito televisivo solo gli imbecilli e gli ipocriti. La regola è dire fesserie o saper mentire. Se a dibattiti in Tv sono invitati degli intellettuali, anche buoni come Moravia o Attilio Bertolucci, questi devono tacere, non dire ciò che realmente pensano, perché altrimenti verrebbero danneggiati nei loro interessi di letterati.

Nel '67, riguardo la Guerra dei Sei Giorni tra Israele e alcuni Stati arabi, il nostro è dalla parte di Israele, il cui Stato è minacciato dal fanatismo musulmano.

Il neocapitalismo minaccia il mondo della cultura. Pasolini, nel '68, ritira per protesta il suo romanzo Teorema dal Premio Strega, ormai dominato dalle clientele editoriali. Si batte insieme ad altri registi per l'autogestione della Mostra del Cinema di Venezia, ma il Governo interviene con la polizia. Ovviamente il potere, che è cinico ed egoista, ha paura di ogni tentativo di democrazia reale e diretta.

Contro gli studenti che a Roma si scontrano con la polizia, il primo marzo 1968, presso la Facoltà di Architettura dell'Università di Roma, scrive la famosa poesia Il Pci ai giovani!! che tante polemiche suscita in seno agli intellettuali di sinistra e al Movimento Studentesco: egli sostiene che gli studenti sono dei figli di papà, la loro è una finta rivoluzione, in realtà è la borghesia stessa che per autoperpetuarsi si punisce attraverso loro, che ormai appartengono al mondo del benessere consumistico: disprezzano la vera cultura, sono dei moralisti che aspirano al potere. Simpatizza invece per i poliziotti, essi sì figli di poveri, anche se resi "sicari" del mondo del potere. Insomma, una provocazione, con cui l'Autore dà ai giovani studenti contestatori un metaforico pugno nello stomaco, affinché nasca in loro una coscienza critica. Li invita infine ad occupare le fabbriche e le sedi del Pci.

Solo Moravia ammette di pensarla come lui ma di non averlo detto perché uno scrittore deve prendersi i suoi tempi e non scrivere a caldo, come invece è tenuto a fare un poeta.

Pasolini parla anche di quello che gli appare come "fascismo di sinistra", composto di taluni militanti e intellettuali marxisti (moralisti e borghesi) che creano un alone di terrore e ricatto intorno a chi non la pensa come loro, soprattutto nei confronti di intellettuali liberi da dogmi sia pur laici.

Gli spiriti liberi sono sempre perseguitati, perché non hanno accettato alcun potere: vedi il caso Braibanti, l'intellettuale omosessuale condannato per plagio, oppure, in campo cattolico, Padre Arpa, accusato di truffa, colui il quale ha difeso la Dolce Vita di Fellini contro le gerarchie ecclesiastiche.

La droga diventa fenomeno di massa e Pasolini osserva che chi si droga lo fa per mancanza di cultura, per riempire un vuoto esistenziale, per un generale senso di "paura del futuro". Comunque è contrario ad ogni forma di repressione: la tossicomania è da tollerare come la pornografia, anche se entrambe sono fenomeni negativi.

Nel 1969 il dodicenne viareggino Ermanno Lavorini viene rapito a scopo di estorsione da un gruppo di ragazzi monarchici, che lo uccidono; arrestati, depistano le indagini parlando di un giro di prostituzione maschile e segnalano, tra gli altri, Adolfo Meciani, che si suiciderà in carcere. Viene quindi scoperta l'infondatezza delle loro accuse e Pasolini se la prende con gli investigatori e i giornalisti, che per accontentare il gusto di linciaggio dell'italiano medio, hanno enfatizzato la figura di "mostro" del diverso di turno, capro espiatorio di una società repressa e repressiva, essa sì "mostruosa".

Quando viene scoperta la verità, è messo a tacere tutto sui giri di prostituzione viareggini, perché sono implicati, come in ogni altra città d'Italia, personaggi eminenti di ogni classe sociale, partito, fede.

In Sicilia, a Zafferana, Pasolini fa parte della giuria che assegna il Premio Brancati al libro di Michele Pantaleone Antimafia: un'occasione mancata, coraggiosa denuncia contro il potere mafioso. Il premio viene contestato dai giornali fascisti e ignorato da quelli di sinistra.

Prevede ormai l'imborghesimento di tutto il mondo, per cui il problema sarà sempre più quello di essere borghesi "buoni" e non borghesi "cattivi". I primi ovviamente sono socialisteggianti, amanti della cultura, contrari ad ogni forma di livellamento e di massificazione e di acculturazione. Anche il Terzo Mondo è destinato a diventare piccolo-borghese e industriale. Ciò che però resta indiscussa è l'impossibilità di una previsione certa sul futuro: quindi lui stesso ammette che ogni suo giudizio vale per il momento in cui lo dà.

All'estero, a Praga, il giovane Jan Palach si suicida dandosi fuoco come protesta contro l'oppressione sovietica in Cecoslovacchia. Pasolini dice che sul piano politico è stato un suicidio inutile e inopportuno in quanto strumentalizzato dalle forze reazionarie anti-comuniste; ma sul piano ideale, Jan ha fatto bene in quanto si è espresso col suo corpo come un eroe antico. E' ovvio che Pasolini è contrario alla politica violenta sovietica e critica inoltre la classe dirigente dell'URSS che ha deformato il mito comunista.

Assistendo per pochi minuti (di più non resiste) alle trasmissioni televisive come il Festival di Sanremo o Canzonissima, si accorge dell'involgarimento della società del benessere, la cui massa vive su un piano sottoculturale.

Invita l'organizzazione per la difesa del patrimonio artistico e paesaggistico nazionale «Italia Nostra», a far propri certi metodi di contestazione studentesca, per convincere gli uomini politici ad occuparsi una buona volta dei monumenti italiani, che invece sembrano destinati alla deturpazione. Chi non sente l'urgenza del "problema della bellezza" ed è utilitarista, è come se non amasse realmente la vita, la sua continuità.

Scomparsa la speranza in una rivoluzione comunista, a lui non resta che sorridere (con un male accettato umorismo) di cose che in passato lo avrebbero fatto arrabbiare e lottare (come l'involgarimento delle masse); si rifugia quindi nell'utopia, che gli permette di sopravvivere. I suoi messaggi morali o politici non hanno un contenuto fisso, ma sono "a canone sospeso", cioè riempibili, da parte dei destinatari, di significati diversi nel tempo e nello spazio. Essere rivoluzionari a parole o senza tener conto delle condizioni obiettive della società, significherebbe fare il gioco della controrivoluzione.

A chi lo accusa di misoginia, risponde che il suo difetto è semmai quello di rappresentare la donna solo nel suo lato angelico e di vedere in lei una esclusa come è anche lui stesso. Del resto, non è in grado di disprezzare nessuno completamente, etichettarlo con un giudizio definitivo, perché vede in ogni persona (e cosa e animale) un profondo sacro mistero. Per questo si scandalizza sempre più per l'assenza di senso del sacro nei suoi contemporanei.

Nel 1970 non è ancora evidente la trasformazione corporale degli operai e dei contadini, che ai suoi occhi appaiono ancora innocenti nel fisico, anche se parlano come gli studenti contestatari borghesi, cioè dicono frasi moralistiche, ricattatorie e terroristiche. La povertà costringe chi ne è vittima ad essere buono, anche se si tratta di un "picciotto" della mafia, che in quanto povero non ha alternative; del resto, gli stessi vertici della società che lo esclude a una vita onesta, sono collusi con i capi-mafia.

Società neocapitalistica e società comunista sono interscambiabili, ormai, in quanto distruggono con prepotente tecnicismo i valori e i monumenti tradizionali del mondo. Il passato, anche se crudele, rendeva più felici, con i suoi valori di semplicità e povertà.

Considera i carcerati non fascisti i veri contestatari della società del benessere: essi sì poveri e appartenenti alla classe dominata, mentre i giudici fanno parte della classe dominante. Non c'è ancora il Pasolini (quasi) totalmente pessimista del '75, che vede il male sia negli sfruttati che negli sfruttatori, il male come desiderio di possedere e distruggere.

Teme nel mondo una reazione di destra, favorita anche da certi estremismi di sinistra, che sono una forma di sottocultura borghese.

Disprezza il revival spiritualista, attraverso il quale giovani e meno giovani contestano apparentemente la società del benessere, mentre in realtà, con la loro sottocultura, fanno il gioco della reazione di destra.

Ai suoi occhi il connubio tra neoavanguardia e contestazione giovanile appare un "monstrum" fatto di moralismo, ricatto e terrorismo.

Nel luglio '70 alcuni rivoltosi democristiani e missini di Reggio Calabria provocano disordini perché come capoluogo della regione è stata scelta la città di Catanzaro: Pasolini, col solito acume, smaschera l'irrealtà di questo problema, che non ha alcuna attinenza con i reali bisogni della popolazione.

In Italia il popolo aspira a diventare piccolo-borghese, consumando i beni imposti dalla società del benessere e, quel che è peggio, abiurando ai propri valori tradizionali dialettali. Solo i napoletani resistono, ma la loro resistenza è votata al fallimento, perché è fatale che il mondo diventi totalmente industrializzato e involgarito per mezzo della cultura di massa. Moriranno i napoletani autentici e fedeli a se stessi e saranno sostituiti da altro tipo di cittadini, obbedienti al Potere neocapitalistico.

Nel '71 collabora, tacitando parte della sua coscienza, con alcuni militanti di «Lotta continua», a un anno dalla strage della Banca dell'Agricoltura di Milano; avverte i suoi nuovi amici che il pericolo maggiore per l'estrema sinistra è il moralismo. Presta anche il suo nome come direttore del giornale «Lotta continua» e verrà denunciato per reati di opinione.

Nel '72 osserva che la falsa liberalizzazione sessuale è giunta anche nell'Italia centro-meridionale. I ragazzi non si iniziano più tra loro e con le prostitute, ma vengono istruiti dalle ragazze secondo i valori del benessere piccolo-borghese neocapitalistico. Avere la fidanzata diventa un obbligo sociale, quindi spesso la si ha non per amore ma per farsi invidiare da chi non ce l'ha e per non passare per incapace o diverso.

L'eccesso sessuale, non associato ad interessi culturali, determina nevrosi nelle nuove generazioni. Il corpo della donna viene più che nel passato, strumentalizzato, ridotto a merce in televisione o sui giornali, e nei quartieri popolari una ragazzina fa l'amore anche con dieci ragazzi al giorno. Chi è diverso viene tollerato purché resti nel suo ghetto mentale e fisico: la permissività è la peggiore delle forme di repressione.

Tra il '73 e il '75 intensifica la sua attività di polemista nei confronti di società e mondo politico, affermandosi come il "Pasolini corsaro".

Accusa la magistratura di parzialità nelle indagini e nei processi. Quando ci sono per un crimine politico due piste, una che porta all'estremismo rosso, l'altra a quello nero, i magistrati italiani preferiscono, per tacita solidarietà di classe dominante, seguire la pista rossa. Gli appare chiaro che le azioni violente e delittuose dei fascisti sono dettate e calcolate nel cuore delle istituzioni, con freddo machiavellismo.

Occupandosi del fenomeno dei "capelloni" ricorda che nei primi tempi in cui comparvero, cioè ancor prima della contestazione del '68, poteva essere un fenomeno tutto sommato positivo, di silenziosa e anarchica protesta contro la società del benessere. In seguito capelloni sono diventati tutti, così che non si distinguono più militanti di destra da militanti di sinistra e c'è sempre il pericolo concreto, nelle manifestazioni comuniste o estremiste di sinistra, della presenza di agenti provocatori fascisti per nulla diversi nell'abbigliamento e nella fisionomia dai veri militanti.

Capelloni possono anche essere ormai dei piccolo o medio borghesi che testimoniano la loro moderna integrazione nella società del benessere.

Prevede che la Chiesa pagherà con la estinzione il suo pragmatico accordo col potere neocapitalistico, che la usa come usa anche i fascisti tradizionali, cioè per lotte storicamente ritardate. In effetti il nuovo Potere è del tutto irreligioso e non sa che farsene dei valori clerico-fascisti. Esso vuole una società di consumatori e basta.

Quindi la reazione di destra, nei primi anni '70, secondo lui ha due aspetti: 1) una lotta reazionaria contingente per l'affermazione del clerico-fascismo; 2) l'effettiva nuova e definitiva rivoluzione neocapitalistica in nome dell'edonismo consumistico e della cultura di massa (vengono così distrutti i valori popolari e umanistici); quindi in politica e in economia, il nuovo fascismo tecnocatico.

Nel '73 si ha un breve periodo di austerity, a causa della crisi petrolifera: Pasolini si illude che l'Italia potrebbe tornare indietro, seguire la via del "progresso" e non più dello "sviluppo", ma presto capisce che la società consumistica è irreversibile.

"Progresso" è per lui ciò che vorrebbero i lavoratori e gli intellettuali di sinistra, cioè un mondo a misura d'uomo, che rispetti tutti i valori culturali che rendono la vita basata non solo sull'utile ma anche sul bello. "Sviluppo" è invece l'industrializzazione totale del mondo, voluta dai cinici produttori di beni superflui e dagli inconsapevoli, ma non meno trionfanti, consumatori. Lo "sviluppo" è sempre di destra, anche se viene accettato pure dalla sinistra. Il "progresso" infatti resta un ideale astratto, perché tutti quanti vivono esistenzialmente come consumatori.

Ormai la repressione neocapitalistica l'ha avuta vinta sulle menti della massa dei giovani sottoproletari. Mentre prima erano fieri di avere una propria identità popolare e disprezzavano i "figli di papà", cioè gli studenti borghesi, adesso invece vogliono essere all'altezza di questi ultimi, e non riuscendovi (perché non hanno abbastanza denaro), diventano infelici e nevrotici, o spietati criminali. Prima possedevano, pur nell'ignoranza, il mistero della realtà; adesso vivono nella Irrealtà. Nessun potere mai in passato era riuscito ad attuare un simile genocidio di valori.

Cosa può salvare l'Italia dal diventare un Paese completamente nazista, se è vero che questi giovani cominciano a somigliare alle SS di Hitler? Una opposizione di sinistra efficace, una nazione onesta dentro la nazione disonesta. E inoltre una opposizione (culturale) alla cultura di massa. Velleitariamente Pasolini parla ancora di rivoluzione comunista, ma sotto sotto è consapevole che ci si dovrà sempre più accontentare del "potere meno peggio" dato dal compromesso storico tra democristiani e comunisti: la socialdemocrazia. Quanto a sé come persona, lui resta legato al mondo antico preborghese e preindustriale: per questo viaggia spesso nel Terzo mondo, dove ha ancora la possibilità di incontrare sguardi di autentica simpatia e felicità, pur nella miseria (ma è fatale che ogni uomo appartenga al tipo di cultura in cui si è formato; e la sua esperienza decisiva è stata tra i contadini friulani: non può abiurare a tale formazione).

Vede di buon occhio il movimento dei radicali, che stanno promuovendo nel '74 una serie di referendum per tentare di riportare una legalità democratica in Italia e per valorizzare i diritti civili, tra i quali spiccano divorzio e aborto. Su quest'ultimo, come vedremo più in là, Pasolini ha delle riserve.

La vittoria dei radicali sul divorzio è prevista dal nostro (più lungimirante evidentemente sia dei democristiani sia della Chiesa sia degli stessi comunisti). I potenti al governo e alla opposizione non si sono accorti che la gente è mutata antropologicamente e non è più attaccata ai valori tradizionali di Patria Chiesa Famiglia, bensì a quelli del benessere superfluo. E' il Potere consumistico che ha voluto la vittoria del divorzio, perché ciò rientra nel suo progetto di una dittatura che vuole ridurre tutti a edonisti di bassa lega.

La Chiesa sta scomparendo come figura istituzionale morale: resta solo un potere finanziario alleato dei potenti di turno. Paolo VI è consapevole di ciò, della fine della religione, ma non ha altro rimedio da consigliare che quello irrazionale della preghiera. Invece, secondo Pasolini, la Chiesa dovrebbe rinunciare al potere e diventare guida dell'opposizione a questo tipo di società disumana che è la società dei consumi superflui. Dovrebbe ritornare alle origini, al tempo della predicazione di Cristo e dei suoi discepoli. Dovrebbe rinunciare alla sua cultura assolutista e abbracciare la cultura libera e antiautoritaria, in continuo divenire, contraddittoria, collettiva e scandalosa. Dovrebbe rifiutare il Concordato tra Stato e Chiesa. Ma è chiaro che non farà nessuna di queste cose per non perdere soldi e potere. C'è chi, all'interno della Chiesa, cerca di porsi realmente questi problemi e dare analoghe soluzioni, come Dom Giovanni Franzoni, che viene sospeso dal Vaticano a divinis.

Continuano intanto le "stragi di Stato": in esse lui vede una "strategia della tensione", voluta dai potenti, prima in funzione anticomunista (per combattere contro il pericolo di una vittoria della contestazione del '68) poi in funzione antifascista, per darsi una verginità di antifascismo che non ha più senso storico, in quanto il fascismo tradizionale è del tutto superato e chi spera in una dittatura di tipo mussoliniano o è uno stupido ingenuo o è in malafede, come appunto questi governanti di centro-destra, che sono i reali nuovi fascisti. I giovani estremisti di destra e di sinistra sono solo le pedine di un gioco diretto dal nuovo fascismo tecnocratico.

Rimprovera se stesso e gli altri intellettuali di sinistra di non aver dialogato con i giovani neofascisti, la cui scelta ideologica è stata dettata dalla disperazione: se fosse stato fatto il tentativo di farli ragionare, forse alcuni di loro non sarebbero diventati fascisti.

Per le sue idee scomode a tutti (tranne evidentemente a Pannella e ai radicali, il cui realismo fondato però su ideali intransigenti, spaventa il Potere) viene criticato da tanti anche di sinistra, come Maurizio Ferrara, che lo accusa di estetismo, di rimpiangere una "età dell'oro", ed anche Italo Calvino, che pensa a un rimpianto pasoliniano dell'«Italietta» piccolo-borghese: Pasolini è offeso perché Calvino dovrebbe sapere che il suo rimpianto è rivolto alla Resistenza e alle speranze di una repubblica nazional-popolare, l'esatto contrario dell'«Italietta».

Precisa che la sua disperazione non è mai totale, perché altrimenti cesserebbe anche di parlare, di occuparsi dei problemi del mondo.

Il 14 novembre 1974 esce sul «Corriere della Sera» il famoso articolo di Pasolini sul "romanzo delle stragi". Dice di sapere i nomi dei responsabili e dei mandanti politici delle stragi, ma non può farli perché manca di prove e indizi. Chi, anche se fa parte dell'opposizione, ha prove e indizi non li fa certo i nomi perché è compromesso col potere.

Il 1975, l'ultimo anno di vita, lo vede battagliare su più fronti:

1) sua prima meditazione metafisica, determinata dagli interessi semiologici che lo avevano già convinto che la Realtà è Linguaggio (adesso approda ad una sorta di concezione spinoziana del divino: Dio sarebbe la Realtà che parla con se stessa);

2) riflessione sul consumismo (egli non è contrario al consumismo come viene vissuto nelle altre nazioni, dove le brutture della cultura di massa sono compensate da una reale qualità della vita data da istituzioni forti e opere pubbliche necessarie - scuole, ospedali ecc. - decenti; è contrario al consumismo italiano, che fa circolare beni superflui senza aver prima risolto il problema dei beni necessari);

3) lotta contro l'intolleranza reale (mascherata dalla finta tolleranza) che colpisce gli omosessuali: l'omosessualità è un rapporto sessuale come tutti gli altri, che non degrada chi lo compie, anzi lo fa diventare più fraterno rispetto agli altri uomini e consapevole della costitutiva bisessualità di ogni essere sessuato;

4) polemizza con i giornalisti, da cui ritiene di essere perseguitato perché è un artista che si può permettere, al contrario della gran massa dei giornalisti italiani, di fare anche del giornalismo indipendente: non potendogli perdonare questa insubordinazione, lo accusano di essere un vizioso;

5) l'aborto: lo ritiene un omicidio, perché il feto ha una volontà di crescere e nascere; l'aborto va prevenuto informando la popolazione su una sessualità alternativa al coito e sui metodi anticoncezionali: è chiaro per lui poi, come dice il Pci, che l'aborto va legalizzato in determinati casi e responsabilmente, e non in ogni caso e trionfalmente come vorrebbe il Potere consumistico, che enfatizza il coito tra maschio e femmina per motivi di produzione e consumo di beni superflui: chi fa l'amore consuma maggiormente questi beni (una coppia non può, ad esempio, non possedere un'auto);

6) propone un (metaforico, ma possibilmente anche concreto) Processo penale ai governanti democristiani rei di non aver compreso e tanto meno lottato contro il nuovo Potere consumistico: essi sono rimasti mentalmente all'epoca del clerico-fascismo e nei fatti hanno rovinato l'Italia deturpandola sia paesaggisticamente che antropologicamente, perpetuando la solita politica mafioso-clientelare;

7) dà alcune lezioni di pedagogia a un ipotetico ragazzo napoletano di nome Gennariello, al quale consiglia la forza della critica totale, del rifiuto, della denuncia disperata e inutile; gli ricorda che è il possesso culturale del mondo che dà la felicità;

8) contro la criminalità di massa (ritiene che tutti i giovani siano dei criminaloidi, potenziali carnefici tipo i massacratori del Circeo, senza un conflitto interiore tra bene e male, perché la loro colpa viene prima ed è nell'aver scelto di non avere alcuna pietà) propone due soluzioni "assurde": a) abolire immediatamente la scuola media dell'obbligo (che insegna a diventare dei presuntuosi ignoranti ipocriti piccolo borghesi); b) abolire immediatamente la televisione (che toglie i valori della tradizione popolare sostituendoli con falsi modelli consumistici che rendono i giovani nevrotici, infelici e appunto criminali, perché molti non hanno i soldi per essere all'altezza dei "figli di papà", da loro invidiati). Nel suo gergo abolire sta per riformare radicalmente, perché la scuola dell'obbligo dovrebbe insegnare ai ragazzi la scuola guida e il galateo stradale, oltre a come risolvere i problemi burocratici e rispettare il paesaggio... dovrebbe insegnare una sessualità completa ma non nevrotica e dare la possibilità di molte libere letture commentate; la televisione sarebbe meglio che diventasse pluralista, con programmi concorrenziali gestiti dagli stessi partiti politici (si tratterebbe di portare alla luce del sole la sotterranea lottizzazione della Rai): lo spettatore potrà confrontare criticamente i vari programmi e farsi una idea propria;

9) prepara il testo di un intervento al Congresso del Partito radicale, ma non fa in tempo a leggerlo (verrà letto a Firenze due giorni dopo la sua morte): ribadendo di essere sempre un marxista che vota Pci, ha speranze sia nel Pci che nei radicali; avverte il pericolo di una falsa realizzazione dei diritti civili, falsa perché intollerante verso ogni reale alterità; suggerisce per questo ai radicali di valorizzare tutte le forme, alterne e subalterne, di cultura; li esorta a restare sempre se stessi, eternamente contrari e irriconoscibili, a identificarsi col diverso, a scandalizzare;

10) rilascia, il giorno prima di essere ucciso, la sua ultima intervista, a Furio Colombo, nella quale dice che ormai gli sfruttati vogliono stare al posto dei padroni, tutti sono ormai vittime e carnefici a causa dello stesso sistema di educazione al possedere e al distruggere; però dice anche di sperare in un ritorno futuro della autentica mentalità rivoluzionaria di chi vuole lottare contro i padroni senza prenderne il posto; una delle sue ultime frasi dà il titolo all'intervista: "Siamo tutti in pericolo।"

PASOLINI E LA RELIGIONE

Pasolini con Enzo Siciliano sul set del Vangelo (www.pasolini.net)

Avvertenza: qui di seguito il lettore troverà rielaborate con diverse aggiunte, parti già trattate nelle puntate in cui esamino le opere di Pasolini. Aver isolato in questa appendice il tema religioso, non è una operazione inutile, tenendo conto che lui era uno spirito autenticamente religioso, seppur non confessionale e dichiaratamente ateo, e ha combattuto tutta la vita contro la dissacrazione del mondo.

Credente sino all'età di quattordici anni, poi smette tutta una volta di avere fede nel Dio persona e di partecipare ai riti religiosi. Del resto, la sua famiglia non era particolarmente religiosa: suo padre Carlo era un credente convenzionale, la madre viveva una sorta di religiosità naturale di origini contadine.

La figura di sacerdote che ispira alcuni suoi scritti giovanili, è quella di un uomo coraggioso perché lotta dalla parte dei poveri, eppure debole interiormente, come è umano che sia, in quanto c'è sempre il conflitto tra carne e spirito, che ogni divieto esterno, sociale, rende ancora più traumatico. Sono le norme sessuofobiche di diritto canonico a creare i presupposti di una psicologia ipocrita in molti sacerdoti.

Sin da giovane pensava che fosse assurda l'obbligatorietà dell'insegnamento religioso nelle scuole, perché la religione deve essere una conquista dello spirito individuale, non una imposizione dall'alto. Si appassiona di politica proprio sulla base di un movente religioso, il suo mistico bisogno di valicare i limiti tra sé e gli "altri", in particolare i più umili, prima i contadini friulani, poi i sottoproletari romani. Diventa marxista partendo da un cristianesimo che valorizza la figura umana e rivoluzionaria di Gesù (non crede che Cristo sia il figlio di Dio). Un borghese non potrebbe diversamente tradire la sua classe e rinunciare ai suoi privilegi, se non per una istanza etica, per un sentimento populistico (nel senso migliore del termine, cioè come amore verso il popolo).

Va in chiesa ma non per pregare o partecipare ai riti, ma solo per raccogliersi religiosamente davanti alle bellezze artistiche. Si ritiene ateo e anticlericale, contrario alla Chiesa-istituzione, rovina del mondo, da quando S. Paolo per eccesso di zelo creò le gerarchie ecclesiastiche, rinunciando a fondare una autentica religione, che Pasolini identifica invece in un legame disinteressato tra uomini che si rifanno a una figura mitica (Gesù nel caso del cristianesimo), la dedizione alla quale li fa bene operare.

La Chiesa-istituzione ha strumentalizzato a fini di potere e controllo delle masse la rassegnazione evangelica, originariamente positiva perché rovesciò l'impero romano basato sullo schiavismo. Il clero mantiene il popolo in una rassegnazione che invece è passività e ignoranza. Già una istituzione laica, come un partito politico, chiede ai suoi iscritti la rinuncia a molti moti del cuore, rinuncia necessaria per una politica di tipo machiavellico: ciò è aberrante se lo chiede la Chiesa, il cui dogmatismo teorico si converte in un pragmatismo meschino (alleanza con politici e corruzione): la Speranza e la Fede, senza la Carità, sono mostruose.

C'è stato un momento nella storia della Chiesa in cui essa poteva rigenerarsi, quando Papa Giovanni ha portato una ventata di novità, ponendo le premesse di un dialogo (sollecitato anche dal nostro col suo film sul Vangelo di Matteo) tra laici e credenti, ma tutto si è vanificato con l'avvento del nuovo Potere consumistico, che ha segnato la fine della religione, soppiantata dalla ossessione per i beni superflui.

Paolo VI sarà consapevole di ciò, della fine della religione, ma non ha altro rimedio da consigliare che quello irrazionale della preghiera. Invece, secondo Pasolini, la Chiesa dovrebbe rinunciare al potere e diventare guida dell'opposizione a questo tipo di società disumana che è la società dei consumi superflui. Dovrebbe ritornare alle origini, al tempo della predicazione di Cristo e dei suoi discepoli. Dovrebbe rinunciare alla sua cultura assolutista e abbracciare la cultura libera e antiautoritaria, in continuo divenire, contraddittoria, collettiva e scandalosa. Dovrebbe rifiutare il Concordato tra Stato e Chiesa. Ma è chiaro che non farà nessuna di queste cose per non perdere soldi e potere. C'è chi, all'interno della Chiesa, cerca di porsi realmente questi problemi e dare analoghe soluzioni, come Dom Giovanni Franzoni, che viene sospeso dal Vaticano a divinis.

Vede di buon occhio movimenti di cattolici progressisti come quello di don Milani, ma è consapevole che la Chiesa-istituzione ha sempre inglobato in sé ogni tentativo di innovazione, riducendola a micro-istituzione tollerata nell'ambito della più grande e potente Istituzione vaticana. Si direbbe che i santi son fatti apposta per essere venerati da un popolo immaturo, che non pensa nemmeno lontanamente ad imitarli.

Quanto al tema della immaturità, La sequenza del fiore di carta (1967-9) è il breve episodio pasoliniano del film Amore e rabbia girato da più registi separatamente. Si ispira al racconto evangelico del fico maledetto e fatto di colpo seccare da Gesù perché non aveva frutti (v. Matteo 21,18-22). Il protagonista è un sottoproletario di nome Riccetto colto in una sua innocente passeggiata per le strade di Roma. Dio gli parla ma lui non vuole ascoltarlo. Dio parla lo stesso e gli dice che non può rimanere inconsapevole di fronte ai mali del mondo, alle guerre e alle ingiustizie. Allora, giacché Riccetto continua ad ignorarlo, lo fa morire proprio come Gesù ha fatto col fico.

Odia ogni tipo di dogmatismo, anche quello laico dei marxisti moralisti. Se sul piano teorico si è rigidi e si hanno delle regole fisse da seguire, poi nella pratica ci si concede ogni arbitrio e cinismo; diversamente, una fede incerta e storicizzata, permette a un uomo di cercare liberamente di esprimersi mantenendo la buona fede, in avversione ad ogni tatticismo e cinismo. Del resto, Gesù perdona i peccati inevitabili, che provengono dall'inconscio, anzi non solo inevitabili ma anche necessari per la maturazione: ciò che non perdona è la malafede, e così ai farisei non perdona.

A chi gli oppone che marxismo e cristianesimo sono incompatibili, ricorda che il marxismo non deve essere una ideologia fissata una volta per tutte, ma duttile, che tenga conto dei progressi della scienza, che ha demolito nel '900 l'ateismo che necessariamente derivava dalla visione materialistica del positivismo ottocentesco. Adesso la scienza non può dire se Dio esiste o no. Tutto è in forse. Marx era geniale in economia politica ma di religione non aveva compreso che essa può essere una forza liberante, e non solo l'oppio dei popoli di cui lui parlava.

La censura vaticana sui suoi e altrui film lo indigna enormemente, come una illecita intromissione della Chiesa nelle decisioni degli organi dello Stato. Ormai la religione egli la vede come un corpo morto istituzionale, un complesso di riti non sentiti interiormente e vissuti invece sul piano consumistico dai cittadini: il Natale come operazione-panettoni e la Pasqua come operazione-colombe. Ogni spirito autenticamente religioso, come il suo, non può che cercare fuori della Chiesa ufficiale la luce della giustizia e della vera umanità.

Quando nel '63 viene denunciato per l'episodio La ricotta nel film RoGoPaG (dalle iniziali dei suoi registi: Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti), l''episodio viene sequestrato e incriminato per vilipendio della religione di Stato: Pasolini, inizialmente condannato a quattro mesi di reclusione con la condizionale, è assolto in appello, poi la Cassazione annulla la sentenza di appello, pur dichiarando il reato "estinto per amnistia". Un altro capitolo assurdo nella storia della giustizia italiana e in quella personale dell'autore.

Dei guai li avrà anche per un altro film, Teorema, dove rappresenta un giovane dio che sconvolge l'esistenza di una famiglia borghese. Al di là delle scene erotiche del film, crediamo che la sessuofobia clericale, che ha origine in San Paolo, non ammette che un dio possa far l'amore...

Tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70 il revival spiritualistico negli Stati Uniti, tipo la scientologia e nuove forme di contestazione anarchica e anticonsumistica, lo lasciano perplesso, in quanto le ritiene forme anch'esse integrate dall'onnivoro neocapitalismo, e che quindi fanno in ultima analisi il gioco della reazione di destra.

San Paolo (progetto, tra il 1968 e il 1974, per un film non girato) traspone la vicenda della predicazione dell'Apostolo dei gentili nel XX secolo, a cominciare dalla Parigi degli anni 1938-44, durante l'occupazione nazista: Paolo è un collaborazionista appartenente alla ricca borghesia reazionaria, fanatico e ingenuamente crudele, con una punta di disperazione nell'animo, che lo porterà a convertirsi sulla strada di Barcellona, chiamato da Gesù; si farà cristiano e apostolo, laddove i cristiani equivalgono ai partigiani della Resistenza. Le parole del santo sono le stesse delle sue Lettere. L'attualizzazione della vicenda vuole significare che Paolo è a noi contemporaneo, sia come santo (e qui il giudizio di Pasolini è positivo, in quanto il nascente cristianesimo distrugge la società schiavista romana) sia come organizzatore di chiese (e qui il giudizio, invece, è negativo, perché la religione istituita è fatale che scenda a compromessi con il potere e diventi ipocrita). Dice Paolo:

"Il nostro è un movimento organizzato... Partito, Chiesa... chiamalo come vuoi. Si sono stabilite delle istituzioni anche fra noi, che contro le istituzioni abbiamo lottato e lottiamo. L'opposizione è un limbo. Ma in questo limbo già si prefigurano le norme che faranno della nostra opposizione una forza che prende il potere: e come tale sarà un bene di tutti. Dobbiamo difendere questo futuro bene di tutti, accettando, sì, anche di essere diplomatici, abili, ufficiali. Accettando di tacere su cose che si dovrebbero dire, di non fare cose che si dovrebbero fare, o di fare cose che non si dovrebbero fare. Non dire, accennare, alludere. Essere furbi. Essere ipocriti. Fingere di non vedere le vecchie abitudini che risorgono in noi e nei nostri seguaci - il vecchio ineliminabile uomo, meschino, mediocre, rassegnato al meno peggio, bisognoso di affermazioni, e di convenzioni rassicuranti. Perché noi non siamo una redenzione, ma una promessa di redenzione. Noi stiamo fondando una Chiesa."

E' stato Satana a imitare la voce di Dio e a mandare Paolo a fondare la Chiesa. Prova di ciò sono tutti i delitti che durante la storia ha commesso questa istituzione: papi criminali, compromessi col potere, soprusi, violenze, repressioni, ignoranza, dogmi, e da ultimo il delitto più grave, cioè l'accettazione passiva del potere consumistico irreligioso che non sa che farsene di religione e morale e riduce la Chiesa a folclore, rispettandola solo come alleato politico e potere finanziario. Il messaggio autenticamente religioso (di santità) di Paolo non viene accettato da nessuno, in fondo, e chi lo accetta o è un santo pure lui o è un ipocrita che lo accetta solo apparentemente; gli intellettuali, sia di destra che di sinistra, col loro razionalismo, non hanno capito niente di religione, ignorando che la vera sapienza viene da Dio, data in premio a chi vive concretamente d'amore. Il Paolo pasoliniano è destinato ad essere ucciso da un sicario nella New York neocapitalistica, che rappresenta la versione contemporanea dell'originario potere imperiale romano dell'epoca in cui visse il santo. Il potere non cambia mai essenza, è sempre spietato, qualunque nome esso si dia, e finisce sempre con l'uccidere in mille modi coloro che si oppongono ad esso.

In un quasi-testamento spirituale, pubblicato postumo, scrive:

"Ogni religione formale, nel senso che la sua istituzione è diventata ufficiale, non solo non è necessaria per migliorare il mondo, ma addirittura lo peggiora."

"Per la prima volta in questi ultimi mesi [del 1975] ho in qualche modo concepito un'idea, sia pure immanentistica e scientifica di Dio. [...] la realtà è un linguaggio! Bisogna fare la semiologia della realtà, altro che quella del cinema! Ma se la realtà parla, chi è che parla e con chi parla? La realtà parla con se stessa: è un sistema di segni attraverso cui la realtà parla con la realtà. Tutto ciò non è spinoziano? Questa idea della realtà non assomiglia a quella di Dio?"

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